I giovani e le parole “difficile” della Croce
Il Papa, i giovani di Tor Vergata e la croce. Apparentemente questa potrebbe essere la sintetica descrizione della riproposizione dell’ennesima immagine televisiva del grande raduno di Agosto. Si tratta invece del contenuto di un messaggio, quello scritto da Giovanni Paolo II a tutti i giovani del mondo, in occasione della XVI giornata mondiale della gioventù: il messaggio della croce. Una parola pregata e detta con un senso nuovo e sempre antico: quello di aiutare i due milioni di Tor Vergata e tanti altri loro amici, ad aderire al Mistero del Dio fatto uomo, dentro la concretezza del quotidiano.
“Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi sé stesso, prenda la sua croce e mi segua” (Lc 9,23).
A Poschiavo, tra le magnifiche montagne al confine tra il Bernina e l’Engadina, erano in centoventi tra ticinesi e grigioni italiano a partecipare a due giornate formative sui contenuti del messaggio del Papa. Mons. Renato Boccardo, fino a qualche mese fa responsabile della Giornata Mondiale della Gioventù e oggi dell’organizzazione dei viaggi apostolici di Giovanni Paolo II, si è occupato delle riflessioni.
Tra i partecipanti la presenza gradita a tutti, di Mons. Vescovo Amedeo Grab, fermatosi per un breve ma caloroso saluto che ha ripreso il fraterno momento vissuto con lui, da molti dei presenti, durante la Giornata mondiale di Roma 2000. Accanto ai giovani, oltre a Mons. Boccardo, al Vescovo Grab erano sei sacerdoti della diocesi di Lugano, un diacono permanente, le suore del monastero di Poschiavo e alcuni animatori laici, segno di quello che la Pastorale giovanile si è prefissata : offrire un’accompagnamento corale e visibile ai giovani, da parte della comunità cristiana, espressa mediante molteplici vocazioni, come anche il Papa auspica nei suoi più recenti interventi.
“Affrontare ed accogliere il discorso della croce”, porta con sè la consapevolezza che queste parole rischiano, come sempre hanno fatto in secoli di storia della cristianità, di produrre divisioni tra la gente: così fu fin dall’inizio, nel rapporto tra Gesù e i discepoli o nella prima predicazione di Paolo a Corinto.
Al centro dei due giorni di ritiro è stata la Parola di Dio, commentata da Mons. Boccardo e affidata alla riflessione seria di ogni partecipante, al lavoro a gruppi, alla preghiera personale e comunitaria, al cammino dietro la croce, all’adorazione Eucaristica, per trasmettere alcuni frammenti di due intense giornate.
Qualche giorno dopo, il Papa in San Pietro, parlando ai giovani di Roma li aveva chiamati, “giovani sentinelle all’alba del terzo millennio”, puntando su una responsabilizzazione che sia libertà di dire no ai modelli antievangelici ed invitando gli educatori cattolici ad una presenza accanto ai giovani, che sia formativa di giudizi veri sulla fede e sulla vita.
I nostri giovani a Poschiavo hanno avuto la possibilità di pregare e riflettere su cosa significa lasciare che questa libertà venga educata dalla persona di Cristo, che prima di loro ha educato la Chiesa, a partire dalla storia personale dei dodici, che in nuce hanno costituito la prima compagnia che si è posta alla sequela del Maestro.
A Poschiavo si è ripreso il vangelo di Marco in quella decisiva e fatidica domanda posta da Gesù a Cesarea di Filippo (cfr Mc 8,27-33):”La gente chi dice che io sia?”. Si tratta - ha proseguito Mons. Boccardo - di una domanda che non vuole fermarsi a sondare l’opinione pubblica. Vuole cercare quanto i discepoli stessi hanno capito ed intuito di lui, nel tempo trascorso insieme:
“Ma voi chi dite che io sia?”, fin dove giunge, cioè, la vostra conoscenza di me?. Pietro risponde: “Tu sei il Cristo!”; gli altri, allora, sono profeti parziali, tu sei il mediatore assoluto, la chiave della storia.
Una domanda decisiva a cui fa seguito una risposta straordinaria, che per Gesù, tuttavia non è sufficiente. Infatti, nel Vangelo di Matteo troviamo (cfr Mt 7,21) : “Non chiunque dice: Signore, Signore…”. Per cui, è come se Gesù intedesse dire che chi mi proclama Cristo non può pensare di essere salvo, se non comprende il significato di tale parola. Prima di dire in giro che Gesù è il Cristo, bisogna conoscerlo, incontrarlo, viverlo. Gesù ora insegna di non essere un vincitore trionfante ma:
”Il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire”. Il destino di Gesù non è dunque un destino di successo; al suo orizzonte si profilano dolore e rifiuto da parte della società civile e religiosa. Queste parole segnano uno smarrimento nel cuore dei dodici. Possiamo interpretarlo: si saranno detti: “Ma come? non abbiamo lasciato tutto per te … e adesso cosa ci guadagnamo?”. E Gesù continua a parlare di sé e dice che poi verrà ucciso. E’ un discorso sintetico: soffrire, essere respinto, venire ucciso, risorgere, che provoca il rimprovero di Pietro.
Pietro vuole distorcere le vie di Dio, gli dice come deve essere, come si aspetta che sia Dio. Ma è Dio che si rivela all’uomo: io sono per te, sono con te, io sono Gesù, crocifisso, morto e risorto. Dio si identifica solo con Gesù, crocifisso, morto e risorto.
La sfida è quella di imparare a valutare gli eventi della mia vita con l’intelligenza e la sapienza di Dio. Chi accetta questa sfida, chi accetta di lasciarsi interpellare da Cristo, diventa automaticamente discepolo. La via del discepolo non può essere diversa da quella del Maestro. E’ importante imparare a leggere la nostra storia con l’intelligenza di Dio, cioè non secondo i parametri del successo e dell’immediatezza (cfr. Messaggio del Papa, no. 6). Non è alla moda, neppure tra noi, parlare della croce. Ma non possiamo tralasciare queste pagine, ritagliando dal Vangelo le parti scomode. Quando assumiamo la croce consapevolmente, essa ci permette di diventare davvero simili a Cristo, di incrociare tutti quei messaggi di vita che, malgrado l’oscurità del mondo, risuonano nella storia. E’ il discorso cristiano: un discorso unico che guarda all’essenziale. La via tracciata da Dio al Figlio dell’Uomo determina anche la via del discepolo, di colui che aderisce a Gesù e si pone alla sua sequela. Non ci sono due strade: l’unica strada è quella percorsa dal Figlio dell’Uomo; al discepolo non è consentito inventarne un’altra. Siamo chiamati ad entrare nella cerchia dei privilegiati della croce”.
Giovani tra entusiasmi e pericoli
Il Papa, sempre rivolgendosi ai giovani di Roma, il 5 aprile, in piazza San Pietro, ha parlato delle difficoltà e delle speranze connesse con questa loro età: “ricca di entusiasmo ma esposta a pericolosi sbandamenti. La limitata esperienza di cui disponete vi pone nel rischio di essere preda di speculatori di emotività, che invece di stimolare in voi una coscienza critica, tendono ad esaltare la spregiudicatezza e presentare scelte immorali come valori. Abbassano ogni soglia tra il bene e il male e presentano la verità sotto il profilo mutevole dell’opportunità”.
Oggi come allora, la storia diventa, per certi aspetti, una specie di altare del quotidiano, sul quale uomini e donne che si battono per la verità offrono la loro vita.
Il confronto con il discepolo che 2000 anni fa mosse i primi passi dietro al maestro è evidente: anche il cristiano contemporaneo è chiamato ad esprimere un giudizio che leghi il rapporto tra la fede e le opere. Dentro tale giudizio si gioca il senso del cristianesimo. Senza giudizio infatti, vivremmo il cristianesimo in una modalità intimistica e spirituale, oppure rischieremmo quell’operosità infinita staccata dal cuore del senso della vita cristiana. Il giudizio di fede, è sempre e soprattutto giudizio per Dio (secondo la sapienza di Dio) e giudizio per l’uomo (cioè che coglie l’uomo nella sua ineliminabile immagine e somiglianza a Dio).
Il Papa, ha ancora invitato, durante l’incontro romano, gli educatori cattolici ad aiutare i giovani, a tendere verso quelle mete alte che Gesù stesso propone nel Vangelo.
Prendere posizione per Gesù
Questo comporta assumersi i rischi descritti da don Renato al ritiro: “Il discepolo è un condannato dalla mentalità degli uomini, dal buon senso dei saggi…: oggetto di derisione, rinnegato, fallito, pericoloso per la società, emarginato, sconfessato…”. In questo percorso sulla strada della vera libertà il rapporto tra Gesù ed il discepolo diventa legame vitale, cioè si fa veramente invito ad un’esperienza concreta nella vita di chi lo segue.
Mons. Boccardo ha ancora aggiunto: “Si tratta di prendere posizione a favore di Gesù, ed in questo non esistono le mezze misure. E questa determinazione non può cessare o venire attenuata e rimessa in discussione al verificarsi di situazioni sfavorevoli. Gesù non ha mai promesso l’autostrada ai suoi discepoli, ma si è limitato a far loro intravedere una stradina in salita. Chi non sa “compromettersi per lui” nel giudizio troverà il Figlio dell’uomo che si vergognerà di lui. La presa di posizione chiara in favore di Gesù, con tutti i rischi che comporta, decide il destino ultimo del discepolo. La fede non è un affare privato, ma esige la testimonianza in favore di Gesù e il suo riconoscimento in faccia agli uomini, anche quando questo porta con sé dolore e morte”.
Potremmo porci una domanda, cosa significa essere fedeli a Gesù? Si tratta solo di parole magari dette con il cuore ma poi …
“La fedeltà a Gesù si traduce essenzialmente nel coraggio della propria fede, nella capacità di confessarlo anche quando ciò comporta scherni, oltraggi, persecuzioni.
Il capovolgimento delle esigenze della sequela accade quando l’attaccamento a sé stessi prevale sull’attaccamento al Maestro, nelle condizioni difficili.
L’aspetto paradossale di questi detti non sta tanto nel loro contenuto: croce, perdere la vita, compromettersi per Gesù, rischiare tutta la propria esistenza su di Lui.
Il paradosso consiste nel fatto che, secondo la maniera di pensare di Dio, a tutte queste realtà scandalose secondo la mentalità degli uomini, bisogna dare un titolo: vita.
Il discepolo è un condannato alla vita
Nella figura del discepolo che segue Cristo si riassume la figura educativa della Chiesa, chiamata ad essere con Cristo per l’uomo, sulle strade della società di oggi, vicina ai diritti primari della persona che vengono messi in questione, ogni giorno, dai presupposti del pensiero politico odierno impregnato di relativismo. Il Papa, per concludere ha detto ai giovani di Roma: “tornare alle sorgenti della fede, alla preghiera, non significa rifugiarsi in un vago sentimentalismo religioso, ma fermarsi piuttosto a contemplare il volto di Cristo, condizione indispensabile per poter poi riflettere sulla vita”.